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Decreto milleproroghe e pubblicità per posta

1997 - entra in vigore la legge sulla privacy

Per spiegare cosa è successo la prima settimana di febbraio 2006 in Parlamento, occorre fare un piccolo flash back e tornare a quasi dieci anni fa.

L’8 maggio 1997 entrava in vigore la legge sulla privacy. Quel giorno i quotidiani pubblicarono articoli pieni di riferimenti alla cultura della riservatezza e alle ragioni di questa normativa. Tra i tanti pezzi, La Repubblica - con un titolo inequivocabile: Libertà per la mia posta - proponeva una tesi assai precisa: con la legge sulla privacy il consumatore poteva finalmente liberarsi dalle pubblicità non sollecitate, svuotando di colpo e definitivamente la propria casella da tutta la posta spazzatura ricevuta. L’autore di quell’articolo (era Michele Serra) con entusiasmo incontenibile comunicava la sua gioia per la fine della pubblicità indirizzata! Basta con le cassette della posta intasate di insopportabili depliant non richiesti! Basta con i soprusi del marketing spione che annota le mie abitudini d’acquisto per poi sollecitarmi allo spreco consumistico! Libertà per la mia posta! A me sembrò una posizione ideologica, basata su un pregiudizio e su una conoscenza davvero superficiale dell’argomento. Non mi aspettavo certo che Serra conoscesse le raffinatezze del direct marketing ma almeno speravo che riuscisse a distinguere tra un messaggio indirizzato ed un volantino. Ma tant’è: la sua tesi ebbe successo e trovò autorevoli seguaci.

Aumenta la pubblicità indesiderata

Quello che è successo nei dieci anni successivi, lo sappiamo tutti. La pubblicità indirizzata (quella fatta verso destinatari selezionati in base al loro interesse potenziale a ricevere proprio quel messaggio) è effettivamente calata, ma la pressione pubblicitaria generata sul consumatore è cresciuta. Fateci caso: in questi dieci anni sono aumentate le forme di comunicazione commerciale di massa, i volantinaggi, lo spamming; è aumentata la pubblicità televisiva, sono cresciute le telepromozioni, le sponsorizzazioni, il product placement. Insomma il rumore di fondo pubblicitario che accompagna la nostra vita quotidiana è diventato sempre più invadente. E noi siamo diventati sempre più insofferenti verso le comunicazioni che irrompono nella nostra sfera privata. Anche perché poche di quelle che riceviamo ci interessano veramente.

Il culmine di questo processo si è raggiunto nel 2005, quando è stato stabilito che l’elenco telefonico dovesse indicare se gli abbonati avessero dato il consenso espresso all’utilizzo dei dati riportati per finalità di comunicazioni commerciali. Questo ha comportato l’impossibilità di utilizzare gli indirizzi della maggioranza delle persone presenti nell’elenco telefonico per l’invio di comunicazioni commerciali. Infatti solo 300.000 abbonati hanno richiesto espressamente di ricevere pubblicità indirizzata.

Sembrava arrivato il momento finale tanto atteso dai seguaci di Serra. E invece….

Novità nel decreto mille proroghe

Fine del flash back. Torniamo al presente. Il Parlamento ha approvato una norma apparentemente complicata, che, con l’insopportabile linguaggio dei giuristi, afferma: il secondo comma dell’articolo 58 del D.lgs 206/2005 si applica in deroga al D.lgs 196/2003. Sembra complicato, ma vuole dire una cosa molto semplice: le norme contenute nell’articolo del Codice del Consumo dedicato alle tecniche di comunicazione a distanza prevalgono sul Codice sulla tutela dei dati personali. Cosa vuol dire? Vuol dire che le aziende se vogliono comunicare con un consumatore devono avere il suo consenso preventivo espresso se desiderano contattarlo per telefono, per posta elettronica, via fax o sms. Ma se utilizzano strumenti di comunicazioni diversi da questi (ergo se gli scrivono un messaggio postale) possono farlo fino a quando il destinatario non si sia dichiarato espressamente contrario. E questo indipendentemente dalla fonte del dato, dall’ambito di comunicazione, dalla modalità di utilizzo.

In pratica il legislatore ha stabilito che le aziende sono libere di contattare il consumatore con messaggi postali indirizzati fino a quando questi non si dichiari espressamente contrario. La ragione di questa decisione va cercata, credo, nel fatto che gli strumenti di comunicazione a distanza non sono tutti uguali: alcuni sono più invasivi degli altri. Rispondere al telefono, aprire un messaggio di posta elettronica, ricevere un fax, sono tutte situazioni diverse dal ritrovare nella propria casella postale una busta. Inoltre l’indirizzo di una persona è un dato, per così dire, ad evidenza pubblica: è un fatto posto sotto gli occhi di tutti; cosa che non si può dire per l’indirizzo di posta elettronica, per il numero di telefono e per il fax.

Elenchi telefonici e nuova legge

Questa decisione del Parlamento fa giustizia, poi, di una cosa che ha sempre suscitato qualche perplessità: il fatto che si dovesse consultare l’elenco telefonico per sapere se si poteva inviare una lettera commerciale a un abbonato. Perché mai l’elenco telefonico deve contenere un’informazione che si riferisce all’uso dell’indirizzo? Un elenco telefonico dovrebbe contenere informazioni riferite all’uso dei numeri di telefono, non dei recapiti postali.

Certo è che oggi, dopo la precisazione del legislatore, si porrà con urgenza la necessità di rivedere i meccanismi di formazioni degli elenchi telefonici che, come è noto, sono stati generati intendendo che chi non aveva manifestato nessuna volontà non intendeva consentire l’uso del suo indirizzo per l’invio di messaggi promozionali. L’esatto contrario di quello che chiede, da oggi, il legislatore: il silenzio del consumatore legittima infatti l’invio di messaggi promozionali. Un bel pasticcio, non c’è che dire. Il nuovo elenco telefonico contiene dei dati non aggiornati, definiti in base a criteri che oggi sono addirittura illegittimi.

Difficile dire come si verrà fuori da questo intrigo. Ma una cosa è chiara. Abbiamo assistito ad un clamoroso colpo di scena: infatti oggi sono proprio le aziende a poter dire quello che fino a ieri era il grido di battaglia degli autoproclamati rappresentanti dei consumatori: libertà per la mia posta!


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